William

William

01-08-2015

Con grande amore vi narro di William,

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mio grande amico e mentore spirituale.

Mio grande problema, mia grande soluzione.

William viveva su un triangolo. Imperturbabile e attonito era in grado di contare quante gocce di pioggia fossero cadute nella tempesta. Imperturbate e attonite le gocce si lasciavano cadere, quel triste giorno, di pioggia. Non era un veggente, non era un folle, ma qualcosa di simile a un uomo, con due gambe due braccia e due occhi. L’unica deficienza erano le palpebre: William non poteva scegliere di chiudere gli occhi. William non ricevette il dono delle palpebre da madre natura, e dopo tanto penare, non volle male a quell’altissima entità che lo privò delle stesse. William poteva sentire ciò che noi solo crediamo di poter sentire, e poteva vedere tutto cio’ che noi banalmente guardiamo. William poteva vivere solo grazie all’acuizione dei sensi che gli regalo’ il misterioso dolore di vivere su quel Triangolo. William non poteva uscire dal triangolo. William era l’anima del triangolo, il triangolo accettò, in tempi molto lontani, la sua persona: forse immortale, forse immorale, ignota, ma dotata di ineccepibili attitudini.
Quel triangolo accetto’ William come unico abitante e padrone dello spazio, si uni’ a lui concedendo l’uso della propria area, della propria forma, rinfrancato dalla semplicità della stessa: “io sono un triangolo, la figura piu’ semplicemente corruttibile del mondo. Resta in equilibrio vivendo su di me”. Il triangolo voleva che William lo abitasse.

Sopra un grattacelo, mentre ruggivano i fulmini e mentre l’onnipotente aveva forse paura di tale incontrollabile ruggito William continuava ad abitare. Esentempore, senza spazio: William viveva su un triangolo.
Il triangolo era il vertice di un grattacielo. Il cielo era il cappuccio del triangolo. Da tempo ignoto, William, imperterrito, senza mai scendere ne variare la propria posizione, viveva sul triangolo. William guardava e sentiva, attonito sul triangolo, incastonato sulla punta del grattacelo, contando ogni goccia di pioggia, l’ umano susseguirsi di eventi tra le anime. Le anime probabilmente erano persone. William vedeva e sentiva, senza mai smettere, gli umani scambi di pensiero. William toccava col pensiero le mani strette di coloro che si presentavano, e sentiva, come un colpo di coltello gli accidenti di coloro che si odiavano, anche senza conoscersi. Pareva percepisse le emozioni delle persone prima che le stesse potessero averne interiore esperienza, pareva quasi prevedesse il futuro. William era affetto dall’eterna maledizione del Sentire. Non importa cosa come o quanto lontano, ciò che era vero, inevitabilmente, era sentito da William. Sotto la pioggia, immobile e apparentemente imbelle, William, accepiva ogni virgola del reale, modellizzava nella mente un Surreale Mondo che non avesse bisogno di virgole. Era un essere strano, dotato di grandi poteri, un essere vivente che non aveva bisogno di mangiare o di bere, un essere non vivente ma pensante.

Quella mattina il cielo lanciava neve a pugni. Grigio offese tre nuvole sputacchiavano vento gelido, quanto bastasse a infastidire. Da una casa sbucava un comignolo, dal comignolo sbucava il fumo accompagnato da uno stridio di voci e guaiti, dal bordo del triangolo sbucava la testa di William, incuriosito. Brookling, un medio appartamento, un pianoforte in salotto, qualche merlo sulla grondaia, una famiglia figlia dell’America: mamma, papà e due bellissime fanciulle. A una era stato messo il nome Cenere e all’altra, nata 3 anni dopo, era stato imposto il nome Cannella. Ciò che colpì il trepido William non fu la peculiarità dei nomi, quanto più le domestiche abitudini. Cenere era una fanciulla modello, con un fisico da modella, metodica e organizzata al pari di un plotone, a cui quadravano conti e bilanci. Conservava centinaia di quadrifogli tra le pagine dei libri. Era un manager importante, e brillava di luce propria. Cannella invece era l’incarnazione della sovversione, segugiante l’ impossibile appagamento di ogni senso, asincrona al pari delle gambe di un Mulo, scostantemente creativa. Suonava il pianoforte. Il pianoforte stava sull’attenti chiuso in salotto da anni ormai. Cannella andava spegnendo la passione, non suonava più. Stava in camera, con una penna, scriveva strani appunti. Mentre Cenere provava i canti per il coro della scuola, Cannella preparava un the in cucina, fissando una moneta sul tavolo. William contava i nidi di ragno in cucina, che la governante non aveva rimosso, quel giorno dopo il ringraziamento. E come le ragnatele Cannella tesseva pensieri, troppo grossi per la cucina, che già straripava di brutti ricordi.

—–testo sospeso—-

—-risate—-
19-02-2016

William il filosofo

Era bellissimo il filosofo William. Raccontava a tutti, e soprattutto a tutte di essere nato a Miami (Florida) cristallizzato nell’eterna immobilità di stupire. Era buonissimo il filosofo William, intriso di chissà quale filosofia ingenua, che gli ha sempre regalato l’illusione di possedere il controllo.

Un ometto di onesta statura, ma con una muscolatura densa e invincibile, che avrebbe potuto tener testa a due tigri insieme nel peggior bar del Cairo. Da giovane W. credeva molto nella psicosomatica. Da giovane W. Era un “Tatone”.

Ricordo di un giorno, pieno di nebbia e di malessere, nel quale W. Inciampò sull’aria.
Cadde e si slogò entrambe le spalle.
Il giorno dopo W. Era più forte di prima.
Ricordo 1000 giorni nei quali al tramonto W. inciampava sempre sull’aria, rompendosi o slogandosi qualcosa di nuovo. Ricordo i 1000 giorni successivi ai giorni citati, nei quali W. sembrava più forte di prima.
Ieri mi sono rotto il cazzo di ricordare. Ieri l’ho cercato e ho incontrato il filosofo William.
Era seduto sul suo balcone, scriveva su un tavolo di marmo. Sembrava posseduto dai peggiori demoni dell’Amazonia, sembrava insensibile e rinnegato dall’umana esperienza tutta. Sembrava fedele alla parte più intima del proprio ateismo: il rifiuto dell’ esperienza: l’ eteroinclusionedi se’ entro un reale surreale costruttivismo (la psicologia degli stolti  ). Cosa costruiva W. ???
W. costruiva l’esperienza, senza comprenderla, senza imbibirsi di alcuna comprensione. Aveva smesso di vivere W. Forse, era un emerito idiota: la sua religione era il distacco.
D’un tratto, inconsultamente, ho dato un pugno in testa a William, mentre era girato.
D’un tratto William è crollato, ed è caduto nel sonno più profondo mi sia mai parso di scorgere. Io ho deciso di essere la sua esperienza più irrefrenabile. Io ho giudicato l’esistenza di W. scarsa e correggibile, io che potrei essere un suo vizio, o forse un suo pelo pubico (nel migliore dei casi). Io che sono l’incarnazione del suo giudizio. Io che amo esserlo.
A quel punto sono rimasto seduto, al suo tavolo di marmo, a osservare il tramonto contro il quale il filosofo inciampava spesso.
La mattina ho aspettato il suo risveglio: mi è sembrato avesse aperto davvero gli occhi… almeno spero.
Finalmente mi guardava davvero. Era incredibile. William era incredibile. Finalmente nasceva William e mi era debitore. Almeno mi crogiolavo nel fatto che lo fosse, potendo sfogare le mie manie di protagonismo. Io, che ho solo voluto esser lui per sedermi al suo tavolo di Marmo, finalmente l’ho fatto, lo sono stato, e gli ho regalato di nuovo la sua vita. Senza grandi giri di parole.
Non ci credevo quasi: le sue spalle erano più larghe e gli occhi pieni di quelle scintille che neanche una fenice bruciando avrebbe potuto partorire, il suo sorriso profondo quanto nemmeno l’oceano avrebbe immaginato.
Quella mattina, Finalmente aveva smesso di immaginare, di confondere l’immaginazione coi sentimenti:
William si schiodò dal tavolo di marmo, smise di scrivere.
Il filosofo William uscì dalla sua casa.

non esistono grandi problemi
senza grandi soluzioni

2 Risposte a “William”

    1. Purtroppo i geni son solo nelle lampade, qualche volta.
      Occhio ai desideri che alcuni, se poi si realizzano, fanno strippare di brutto 🙂
      un abbraccione

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